DA UNO SCHIAFFO A UN’AMICIZIA: LA STORIA DI ANNA E IL SUO AMORE PER L’INTER E BECCALOSSI
Una passione nerazzurra che ha attraversato quarant’anni di vita, dalle trasferte in treno alla carrozzina
Il calcio sa scrivere storie che vanno ben oltre i novanta minuti in campo. Quella di Anna Cece è una di queste: una vicenda che intreccia passione sportiva, incontri imprevisti e una fedeltà che ha attraversato quattro decenni, superando le barriere che la vita le ha posto davanti.
Quel pomeriggio a Villa Pamphili
Roma, 2 giugno 1982. Mentre l’Italia si preparava alla spedizione mondiale spagnola, una ventenne dagli occhi vivaci e il cuore nerazzurro si aggirava nei pressi del ritiro azzurro. Non era lì per Zoff, Rossi o Tardelli, ma per protestare contro l’esclusione del suo idolo: Evaristo Beccalossi, il fantasista dell’Inter dal piede mancino vellutato.
L’Italia si divideva in due fazioni: chi pretendeva Beccalossi in Nazionale e chi difendeva le scelte di Bearzot e la titolarità di Antognoni. Anna apparteneva senza dubbio alla prima categoria, con una convinzione tale da spingerla a un gesto impulsivo.
“Quando vidi passare il ct, non riuscii a trattenermi. Mi sfuggì un insulto, parole che una ragazza educata come me non avrebbe mai dovuto pronunciare,” racconta oggi con un sorriso che mescola imbarazzo e nostalgia.
Un buffetto che diventa storia
La reazione di Enzo Bearzot fece il giro d’Italia. Il commissario tecnico si voltò, raggiunse quella ragazza impertinente e le diede quello che lui stesso definì “un buffetto, lo stesso che avrei dato a mia figlia se si fosse comportata così.”
Ma la storia non finì lì. Contrariamente a quanto molti potrebbero aspettarsi da un uomo del suo calibro, il Vecio si sentì in dovere di chiarire e fare ammenda.
“Mi fece chiamare in albergo per scusarsi,” ricorda Anna. “Mi disse che non era abituato a perdere la pazienza, ma che comprendeva il mio amore per Beccalossi. Poi, da Pontevedra, mi spedì una cartolina con le firme di tutti i giocatori e mi invitò persino alla prima amichevole che la Nazionale avrebbe disputato a Roma dopo il Mundial.”
Un gesto d’altri tempi, che rivela la grandezza umana di un uomo che avrebbe portato l’Italia sul tetto del mondo poche settimane dopo.
Una vita di passione nerazzurra
“Le mie amiche andavano in discoteca il sabato sera, io partivo per seguire l’Inter,” racconta Anna. “Vivevo a Roma, ma il mio cuore batteva a San Siro. Prendevo treni, pullman, qualunque mezzo pur di vedere giocare la Beneamata e soprattutto lui, il Becca con i suoi dribbling impossibili.”
Una dedizione fuori dal comune per una ragazza dell’epoca, che lei stessa spiega con semplicità: “Ero la figlia ribelle di una famiglia perfetta. L’Inter e Beccalossi erano il mio modo di esprimere unicità, di seguire una passione autentica mentre tutti intorno a me sembravano conformarsi a modelli prestabiliti.”
Nel corso degli anni, il suo amore per i colori nerazzurri non è mai venuto meno. “Alla finale di Champions a Madrid del 2010 ci sono andata sul charter organizzato dai Boys,” racconta con orgoglio. “Purtroppo per la prossima a Wembley non potrò esserci fisicamente, ma il mio cuore sarà lì, come sempre.”
Il legame con il Becca
La storia più toccante è però quella del rapporto con il suo idolo. Un legame che, nato dalla pura ammirazione sportiva, è evoluto in qualcosa di più profondo e personale con il passare degli anni.
“Non ho mai perso il contatto con Evaristo,” confida Anna. “Ci scriviamo regolarmente, ci scambiamo gli auguri per le festività, mi ha persino inviato una copia autografata del suo libro.”
Quando Beccalossi è stato colpito da un malore lo scorso gennaio, Anna se n’è accorta prima ancora che la notizia diventasse pubblica: “Ho notato che dal 9 gennaio non usava più WhatsApp, cosa insolita per lui. Poi ho saputo cosa era successo e ho immediatamente chiamato sua moglie Danila, che gentilmente mi tiene aggiornata sulle sue condizioni.”
Per chi desidera dare un’occhiata a posido Italia, il sito offre articoli su storie di passione sportiva come quella di Anna, dimostrando come il calcio possa creare legami che trascendono tempo e distanze.
Il presente e il futuro
Oggi Anna ha 63 anni, lavora all’Acea, ed è attivamente impegnata in politica e nel sindacato. La vita le ha riservato anche momenti difficili: da tre anni è costretta su una carrozzina, in attesa di un’operazione che il suo cuore acciaccato al momento non le consente di affrontare.
Ma la sua determinazione rimane intatta, così come la sua passione nerazzurra. “Evaristo sta migliorando,” dice con un sorriso di sollievo, “e io lo aspetto per vedere insieme una partita dell’Inter, come abbiamo fatto tante volte in passato.”
Poi conclude con una frase che riassume quarant’anni di devozione: “Prenderei ancora mille schiaffi per lui.” Una dichiarazione d’amore sportivo che fa sembrare banali i complicati intrecci di mercato e le controversie tra procuratori che oggi dominano le cronache calcistiche.
In un mondo del calcio sempre più legato a interessi economici e influencer digitali, la storia di Anna ci ricorda cosa significhi davvero essere tifosi: una passione autentica, disinteressata e capace di attraversare un’intera vita.